Matteo Munaretto: PREPARATIVI PER L’ARCA, Moretti eVitali 2021
“Colpisce, qui, la presenza di figure e di concetti che rinviano alla grande tradizione, greco-latina e cristiana, della nostra poesia: il principio della bellezza come cardine del processo poetico; la nozione di mimesi, che presuppone una relazione continua e profonda tra parola e mondo della natura. (…) A questo si aggiunga una lingua poetica tutta nel segno della proprietà lessicale e del nitore (…) dove l’aggettivo sembrerebbe da intendersi (…) in senso virgiliano (…) ma con improvvise accensioni di visione e di stile, in cui la lingua è chiamata come a un suo intimo fiammeggiare ordinario. (…) Questi Preparativi per l’arca, libro strutturatissimo e meditato, (non sono soltanto i preparativi per la vita nuova, ma anche per una poesia nuova, continuamente evocata, presentita, augurata si può dire ad ogni verso”.
(dalla postfazione di Giancarlo Pontiggia)
Torniamo, quindi, alla valenza metaforica del libro: “Prepartivi per l’arca” e soprattutto a una dedica posta in esergo: “Ai costruttori dell’arca, / ai custodi delle fioriture”. E ancora a una citazione da Omero: “verso la terra dei padri”. Tutto, dunque, si protende verso un oltre da immaginare attraverso la parola che sarà, ma anche attraverso la parola che è stata. Paradossalmente, annota Pontiggia, si tratta di una parola già data, la lingua dei padri, riesumata per un presente che ha mischiato tutte le lingue e le ha confuse. Lingua nuova, insomma, e lingua da preservare, come le specie da custodire nell’arca, vegetali e animali.
L’iniziale poemetto, resoconto poetico della costruzione dell’arca, si legge come epica dell’inizio, racconto non solo da tramandare ai posteri, ma anche da vivere in prima persona: “un’arca all’asciutto per superare / la contumacia del male, ( una zattera per vincere l’abisso, / tornare a casa”.
L’arca, sembra di capire, non è solo strumento di attraversamento ma di ricongiunzione con la nuova casa, che è poi la casa di sempre. Non si tratta di un nuovo mondo, ma di una restaurazione. Anche della lingua.
Posto il primo poemetto nella funzione di grande prologo – ma poi ripreso con altre conseguenze nella seconda parte del libro – necessario per capire il senso di tutto il resto, ecco, poi, la descrizione di una natura in germoglio, una natura che segue il corso delle stagioni senza l’interferenza degli uomini. Un germogliare che è prerogativa della terra rigenerata. In questo contesto di vuoto primordiale, i bambini assomigliano a piccoli sacerdoti con i sensi spalancati: “perché ai piccoli è stato rivelato / il suono che fanno / le foglie ancora chiuse quando sognano / le prime sere tiepide di marzo. / E i punti luminosi lontanissimi – / loro lo sanno – ( sono un letto di mimose, / il velo vivo / perché tutte le cose sapessero / d’essere spose”, p. 28.
Così “il vento, il primo vento / di primavera gelido che muove / gli steli delicato, / le foglioline nuove / (o è la luce?), / scherza scivola sul filo / tra le quiete / onde dei colli”, p. 29.
L’esperienza del viaggio, dell’aver attraversato la tempesta, si colloca nuovamente nell’esperienza dell’abitare il tempo, un tempo ”sacro”: “L’unica cosa – dicono – / che gli angeli ci invidiano / è il tempo”, p. 39; per “vivere non da stolti, / suggere l’amoroso / scintillamento, / farne buon uso”, pag. 41.
E’ un tempo eterno e perpetuamente rinnovato da un patto tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, perché “il tempo è anche paura / d’aver perduto / ancora / dissipare il combustibile eterno”, p. 42.
Il tema del trascorrere del tempo attraverso il flusso dei mesi e delle stagioni costituisce il sottotesto del libro. “Febbraio sei venuto fin qui, / cose vane hai portato non invano”, p. 51. Tra il vano e l’invano dell’accadere, l’essere deve fare i conti con l’angoscia di una possibile estinzione, con la distruzione dell’arca. Ma anche della parola poetica, protesa essa stessa tra il dono/scommessa del durare, e il rischio del non lasciare traccia, del deperire:
La poesia è volatile materia.
Niente capisce chi non sa
che è proprio vivida realissima materia
ma
niente può capire
chi non sa che la sua consistenza
è fatta per sfuggire.
p. 56
I versi hanno bisogno di riposo, come le cose; sono cose essi stessi: “Bisogna lasciarli riposare / i versi, / aspettare anche per giorni / rincorsi dall’ansia di sentirli, / continuare ad amare”, p. 57.
Si legga, poi, il resto del libro, avendo superato l’impianto di poetica, il pensiero sottostante. Ci si accorgerà di una parola che accarezza le cose dentro questa tensione quieta che l’apparire ci riserva, senza mai riconsegnarle allo sconquassamento del diluvio ma depositandone la sostanza intima, il loro splendore nella luce, nella “dimora luminosa delle cose”.
(…)
se uno sapesse cos’è
la perdita di tutte le posizioni –
le polveri i tamburi primordiali
l’orda profonda delle cose che ci abbattono,
la caduta
in faccia a sé –
se sapesse cos’è
dove davvero avviene,
dov’è il fuoco e la terra che brucia,
se uno sapesse cos’è questo
nell’anima,
nei pochi passi di bene falciati,
nel credere fiorito un pezzetto del cuore
dopo tanta durezza dissodata,
pulito molto fango, scerpato il più possibile
ogni secco
e tanti semi
soffocati dalle spine
portati via dal vento e dagli uccelli,
vedere queste zolle non più verdi,
solo solchi sconvolti
brandelli desolati
su una pianta data in pasto alla follia…
Sapere cos’è questo
nell’anima.
E sapendolo
mantenere la posizione.
Una ancora, forse l’ultima,
rimane,
una tenda ai confini del mondo,
al centro di tutte le lotte.
E’ troppo poco?
Ma questo poco non si inorgoglisce,
non cede allo sconforto.
E’ vero, è arida e squassata.
E tuttavia la manterremo.
Urlano le folate,
rotolano già su di lei
da un entroterra in fiamme.
E tuttavia la manterremo.
p. 96
(da VIBOLDONA,17 marzo 180 d.C.)
*
NOE’
Tieni salda la barra, figlio mio,
e non temere.
La vita è salva in questo grembo.
Noi siamo solo i custodi.
Abbiamo questo compito e lo compiremo.
Ricorda che l’arca è stata edificata
con misure precise
eseguite in ogni punto
con abnegazione e purezza tagliente.
Ora lascia che il disordine degli elementi
sia sconfitto.
p. 111
*
Pronuncerai con labbra di rugiada,
coi modi della gioia comporrai.
p. 127
*
Seduti fianco a fianco nel gran sole
tra i volti degli amici gusteremo
la polpa
dell’opera fedele.
p. 129