LA PROMESSA DEI GIORNI, Fiori di Torchio 2010
“Ho deciso: aprimi, se vuoi, come una melagrana, e guardami…”: la poesia nasce da una decisione, da una scelta, la scelta di offrirsi, di mettersi in gioco, di porgersi come si porge un frutto, di darsi in pasto ad un tu che è il legame dentro cui si costituisce la persona e la parola. La poesia è un gesto sacrificale, un dono di sé, innanzitutto, sembra dire Aglieco con “La promessa dei giorni”, un poemetto che riprende modalità e temi della sua produzione poetica più recente, qui in dialogo con il gesto dell’artista, con un fare che è altrettanto carico di disponibilità e accoglienza nei confronti del mondo: le foglie, le carte, i fili intrecciati alla terra sono l’itinerario di un cuore che cerca di disegnare una mappa dei giorni, di portare a casa i nomi di quello che si è incontrato e il poeta li ripercorre come si attraversa un paese, un angolo di terra dove si cerca la terra intera, il suo e il nostro destino, quello che resta, che vale veramente che, alla fine, è “Solo il nome…la carta brunita della nostra vita, del nostro resistere fortemente”. Il compito della poesia è uno sguardo colmo di pietà sul mondo ed è, insieme, quello di lasciarsi guardare, di lasciarsi ferire dall’attesa e dalla promessa che, nonostante tutto, vive dentro il tempo. La parola come un resistere, un restare nell’istante consegnato ai nomi: nominare il mondo nell’attimo del suo apparire, sottrarlo al suo venire meno consegnandolo all’eterno. “Scegli questa forma per la promessa dei giorni” appare così come una sorta di invocazione che il poeta vuole innanzitutto per sé, come se nella poesia si giocasse il tentativo estremo di cogliere il senso segreto del tempo; anche se nella parola viene custodita non la vittoria, non la salvezza, ma la disponibilità alla resa, alla sconfitta poiché le parole sono “qualcosa di solido che non svaria, torri di vedetta al confine del cuore contro il male che non ha dolore…”. Il dono, dunque, è un reciproco donarsi: del poeta che si offre e del mondo che si apre nella sua illeggibilità eppure con dentro quasi la speranza di essere un giorno colto, abbracciato fino in fondo. Il “Dono è restare qui, comunque qui, nell’attesa del nome”: il dono è la fedeltà al mondo nella pietà, nell’assunzione di ciò che è dato; la poesia questa fedeltà al particolare, all’istante attraversato da uno sguardo che, anche se non comprende fino in fondo, si lascia prendere e, dentro il nome, dentro la parola, resiste perché l’uomo possa rimanere pronto, degno della promessa che segretamente e eternamente nell’istante è come prefigurato. La poesia di Aglieco è sempre di più un gesto: non una forma vuota, ma una decisione di corresponsabilità della parola poetica rispetto al destino dell’uomo e del mondo; un modo di vivere prima ancora che un modo di scrivere, sguardo teso al senso delle cose, pietà e custodia della loro consistenza povera e gloriosa insieme.
Corrado Bagnoli