Sono dell’avviso, come ho scritto nel mio manifesto, che la poesia dovrebbe rintanarsi nelle cantine, far perdere le sue tracce; al massimo lasciando le porte semiaperte per chi volesse andarla a trovare. Piccole edizioni, anche precarie; poche copie, introvabili; necessità della sua esistenza nella mancanza; febbrile necessità. Da adolescenti, quando si era in crisi di domande senza risposte e ci si rintanava nelle stanze buie, la frase ricorrente era questa: nessuno ti cerca se non sei tu ad andare a cercare gli altri.
Ecco: credo che questo dovrebbe valere anche per la poesia. Inutile farsi sopraffare dal deleterio gioco delle richieste, delle amicizie a tutti i costi, della sete di apparire; dei gruppi, dei concorsi, della conta delle copie e delle recensioni. “Chi ha bisogno di me, mi cerchi”; potrebbero essere queste le parole pronunciate dalla Poesia; “io esisto se tu mi cerchi, se tu hai bisogno di me, altrimenti sia l’oblio”.
Queste poche parole per dire che amo particolarmente le edizioni d’arte: poche copie, senza codice, quindi non destinate alla vendita; pochi testi, probabilmente quelli veramente essenziali; circuito ristrettissimo fatto di passaggi a mano, di doni. E’ una delle prerogative che mi interessa di più perché la poesia si faccia oggetto di “transito”; “transeunte”, messaggio in bottiglia senza destinatario; chi la riceve – per caso, per puro abbaglio del destino – ne testimoni l’esistenza, la testimonianza diventa il suo compito più urgente.
*
Ecco, dunque, uno di questi oggetti di ”transito”, “transeunte”, che un giorno vorrei produrre anch’io:
Pasquale Di Palmo, VERTEBRAE, disegni di Giorgio Bertelli, Edizioni L’Obliquo 2020.
Si tratta di poesie prefatte da Franca Grisoni, poi incorporate nel libro antologico di questo autore, recentemente pubblicato.
Così Franca Grisoni:
Qui “Pasquale Di Palmo tende a sparire, come se i “Versi e vermi” appaiati nel primo verso della poesia di apertura, fossero dotati di vita propria. (…) Grazie all’abbondanza di allegorie, metafore e comparazioni, i piani di realtà, sogno e visione si confondono e si fondono. (…) Non solo reale e simbolico, anche dentro e fuori si scambiano gli spazi. (…) Non è in atto la visionarietà del poeta: è l’epifania del reale ad irrompere sia fuori da un tetto crollato che dentro le mura dell’ex manicomio, un luogo dove la vita umana è stata violata”.
Parole forti anche per le illustrazioni di Giorgio Bertelli, oggettivamente assai belle e inquietanti: “Le parole che accompagnano i segni, i segni che accompagnano le parole, non sono tuttavia speculari ed ecco allora che poesia e immagine si configurano come un unicumper un libro da leggere e da guardare, da prendere tra le mani, da girare sottosopra, da rivoltare per trovare i suoi livelli scompaginati. (..) In questa sequenza ci si sofferma a contemplare la morte in un continuo esercizio di meditazione sulla vita, sul suo inizio, sulla sua fine”.
Queste “vertebrae” sono da intendersi quasi letteralmente; nel senso di resti, di ciò che resta dei corpi. Anche se non si tratta di ossa qualunque ma della zona portante dei corpi, quelli che ne segnano la centralità, persino dopo la morte. Attraverso la spina dorsale si appendono i corpi scannati, si esibiscono. La poesia esibisce dunque ciò che ha ancora dignità ad essere evocato attraverso la parola; forse, più che evocato, indicato.
Queste vertebre sono anche quelle dei corpi che resistono ancora, corpi che si affievoliscono, in procinto di scomparire e che cominciano a mostrare la sostanza intima dell’ossatura, l’ultimo baluardo del baricentro prima dell’abbattimento:
Vertebrae
Ti guardano sgomenti, senza voce,
sfiorandoti con dita di ranuncolo
nell’ombra smeraldina dell’ospizio.
Ed armeggiano con la tua cintura.
Non capiscono chi sei, cosa fai
– figlio fratello consorte – perché
con loro condividi il mezzosonno
che nel baccello della carrozzina
li tramortisce a mezzogiorno e venti.
Ingobbiti, la nuca mal rasata,
l’alfabeto decifrano a rovescio.
Con il sussurro impietoso degli occhi
ci chiedono chi sono, dove sono,
murati nel castello delle vertebre.
*
Non bisogna credere, tuttavia, che queste vertebre siano solo quelle degli animalia, i dotati di anima. Ogni cosa è retta dall’ossatura di una volontà profonda che, nominando le cose, le espone nell’asse verticale, e così le sostiene; il crollo avviene proprio quando la parola perde la sua funzione ed è quindi, tolta.
Così lo scheletro degli insetti, il cemento degli alberi; persino la resistenza perfetta dello stelo di un fiore:
Rosa fiorita in gola
Sui campi flagellati
da luce impietosa
ride come un eczema
il volo stordito delle cavolaie.
Si incide contro un cielo
di cartapesta
il fico scheletrito.
Ha pagliuzze di raucedine
la rosa fiorita in gola.
*
Ragni
Guardano esasperati i tuoi compagni
tu che sbraiti e ti dimeni sul letto.
Lungo gli arti si rincorrono ragni
d’orina, si orientano sul petto.
*
Che dire dei disegni di Giorgio Bertelli; come tutti i disegni vanno guardati. Sono realizzati con pastelli a olio, tecniche miste, ultimati velocemente, tra il gennaio e il febbraio 2020. Sono lavori accesi e crudeli, che appaiono grandiosi, pur nella relativa piccolezza del formato; mostrano mani, piedi, croci, fiamme, scheletri di esseri primordiali, alfabeti, teschi, simboli; un dio mostruoso e blasfemo, con le grandi ali aperte, i genitali in mostra, il becco adunco. Sul corpo, a caratteri cubitali, il nomen sacrum IHS. E poi il retroscena di fogli di giornale, scritte a mano…
“Un libro duro per tempi duri…”, reca la dedica.