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Antonio Santiago Ventura, ESERCITI DI CARTA, Porto Seguro 2022

Si tratta di un’opera prima, introdotta da Luigi Cannillo.

“ ‘Il sole / aveva i suoi eserciti di carta / e li mandò nel mare / a svelare le grazie della luna’ “. Già l’inizio della prima poesia della raccolta di esordio di Antonio Santiago Ventura mette in campo gli elementi naturali primordiali insieme a comportamenti umanizzati, in una visione cosmica per la quale l’autore conclude lo stesso testo dicendo: ‘Il mondo è diviso, disse il mare / Luce e buio, oro e argento, / si mescolano dentro di me / come due pesci in amore’ “.

E ancora: “ I testi raccolti in Eserciti di carta, considerati singolarmente, hanno valore ciascuno per i suoi contenuti specifici, per le caratteristiche stilistiche che li caratterizzano anche in modo diversificato, ma sono da intendere come Poema totale che si articola nelle diverse pagine, talvolta con poesie ad ampio respiro che si dispiegano in testi più lunghi e compatti e in un racconto fluviale, altre volte in brevi unità sospese o folgoranti come pure in poesie strutturate in diverse strofe”.

Queste parole indicano dunque un vasto pannello di possibilità pittoriche e tematiche, una commistione di sacro e profano, come si potrà leggere, in cui l’antico si mescola al contemporaneo; una visione panteistica, insomma, dell’unità del tutto e in cui, come dentro un’amigdala fatta esplodere da qualche guerra, l’io/Tutto cerca di preservare la sua unità, il suo declinarsi in apparizioni e simboli ancestrali.

In questo “tutto”, l’elemento perturbante rimane come sempre l’io del poeta, la sua voce che raccoglie e nello stesso tempo disperde la visione di un mondo che certamente esiste ma che potrebbe anche non essere; un mondo che, profeticamente, è in attesa di una nuova parola che lo ridefinisca.

Antonio Santiago Ventura sembra non accontentarsi del dato oggettivo dell’esperienza, dell’occhio che spia la parola segreta, della sintesi poetica perfetta, a tutti i costi. Nell’ambizione di un’opera prima certamente si gioca la possibilità della poesia futura; un lungo lavoro a divenire in cui bisogna raccogliere e conservare, ma anche disperdere e abiurare.

*

Noi ci arrampichiamo sui

pensieri migliori

perché aneliamo

alla più vasta guarigione,

nel cadavere del cielo il nostro seme

sta bruciando;

infinita tristezza.

La genialità del mare e la sua piuma di neve,

mi ricordo, dei cavalli delle onde,

avevo semi nei capelli,

la spuma che mi usciva dalla testa

era il delirio del sole.

Avanti coi vostri ultimi miti

tutto quanto è sconfitto.

*

Io non sono né maschio né femmina,

non sono il sole non sono la luna,

io sono il cosciente

non vengo dalla terra

e non evado il cielo

la mia bocca è piena d’oro,

il mio corpo somiglia a una nuvola,

la sofferenza della terra è il mio mantra,

se vedo una piuma vedo anche il resto,

ma un minerale grezzo è il mio cuore

scolpito da acque millenarie

ho preso la forma di un uccello,

domandate agli aironi: chi è quello?

Vi risponderanno: un figlio di Dio

e qual è la sua casa?

*

Oggi, giorno di ottobre,

è stato erotico

mescolarmi tra la gente.

La mia famiglia è così immensa e pittoresca

che mi viene da piangere.

Tutto il mondo mi riscalda,

tutto il mondo è mio padre

e mia madre, tutto il mondo

è mio fratello.

Ora che sono tornato alla mia stanza,

nella mia solitudine, li sento tutti in me.

Io sono il clima del globo,

sono la gentilezza della pioggia,

sono la segreta beatitudine.

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2 commenti

  1. Salve Sebastiano, sono l’autore dei versi trattati nel suo bell’articolo. Le scrivo qui ringraziandola per l’interesse, e per la riflessione che ha voluto impiegare circa il mio lavoro. Trovo che sia molto corretto da parte sua, l’essersi soffermato sul valore restauratore della Poesia. In un certo senso, tutto quello che ha a che fare con l’origine, (e la parola poetica è origine), non può assumere altri tornanti se non quelli di una processuale verità perpetuamente escatologica del mondo. La parola è l’origine del mondo umano, e la parola poetica è il seme in potenza, è la sostanza magica che vincola l’uomo alla sua posizione di creatore, è l’espressione libera e furiosa dell’energia racchiusa dell’anima, che desidera uscire, follemente, a rimodellare le forme morte e anguste, i paesaggi sterili, le costruzioni povere di vitalità e ingegno, in una parola: la mediocrità, in una parola: l’abnegazione, o dissoluzione. Vorrei soffermarmi sul primo punto del suo breve commento: la commistione di sacro e profano, la volontà dell’io poetico, dell’uomo post-storico, o neo-storico, di preservare o promuovere una unità che non rinneghi nessuna parte di sé, che non aggiunga altra inutile confusione, altro stupido chiasso, ma chiarisca e purifichi nella pulizia della giusta visione. Questo è un compito troppo grande e indefinibile per qualunque parola, per qualunque visione, e specialmente in tempi così caotici. Ma se devo restare fedele al ruolo che mi compete, ovvero quello di seme, di parola fertile, di visione prolifica, io vedo e sento che l’energia dell’universo si sta rivelando quale pura esistenza; un principio cosmico intelligente che gioisce nell’espansione, e che si riflette nella più alta forma di coscienza a noi conosciuta: l’uomo. È venuto il tempo di renderci conto della natura divina che siamo, del nostro assoluto, immenso potere di creazione e di distruzione. Da ogni estremo deriva il suo opposto, è legge di natura, dalla distruzione del pianeta viene e verrà la nascita del pianeta, dalla desacralizzazione moderna e ipermoderna, nasce e nascerà la grande opera di primitivizzazione, una inaudita e meravigliosa religiosità, dall’individualismo e dalla disgregazione più abissale, la profonda comunità e l’unione più grande. Quanto all’esistenza o all’inesistenza del mondo, a me pare chiaro, affermare senza balbettamenti, che questo mondo in cui stiamo vivendo non esiste, in quanto non è un mondo, come direbbe Heidegger. È un non-mondo. L’uomo è un essere artistico-naturale, fondamentalmente irrazionale, poetico nella sua essenza, e se la sua essenza è rimossa, tutto diviene morto.
    L’homo economicus è disperato, è un morto che cammina, ma ancora a lungo disgregherà la Creazione perché è la stessa volontà cosmica a volerlo, nel suo folle eccitamento, nel suo ignoto processo evolutivo-disgregativo di Creazione. A ridefinire il mondo sarà l’energia stessa che crea il mondo, che crea il linguaggio, e se uomini desti verranno, questo accadrà per la nostra gioia, che è la gioia del cosmo, per un tempo di luce dopo il grande buio.
    Auguri a noi.

    Antonio Santiago Ventura

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  2. Caro Antonio. Grazie dell’apprezzamento, e anche per la lunga disamina sulle motivazioni che sostengono la tua poesia. Un buon anno. Sebastiano.

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