Marco Fregni su LUCE DELLA NECESSITA’

Marco Fregni dedica un bellissimo testo a LUCE DELLA NECESSITA’. Lo ringrazio di cuore. Rimango stupito di come, gli amici che ne hanno scritto, abbiano saputo cogliere così bene l’essenziale di questo “manuale per contadini ritornati”, a differenza di molte giurie di premi che l’hanno sufficientemente considerato.

Di Marco ricordo un suo libro di racconti straordinario, credo uno dei più belli letti a proposito del tema dell’aldilà, al quale ciclicamente ritorno, perché lo trovo inquietante e in qualche modo vero nella sua altissima fantasia: ALDILÀ DI OGNI ALDILÀ, Pendragon 2013. Sul blog è possibile andare a reperire la mia recensione a questo libro:

qui.

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SEBASTIANO AGLIECO, ” LUCE DELLA NECESSITA’ ” Mimesis Hebenon Editore, 2022

 Al termine della lettura di questo intenso libro di poesie, si ricava una certezza: l’indiscutibile abilità di Sebastiano Aglieco nel coinvolgere profondamente il lettore attraverso le sue parole, portandolo ed affascinandolo verso una duplice direzione, sia intellettiva, legata all’innesco di profonde riflessioni, sia emozionale, generata dalla capacità di far risuonare corde profonde, (quelle che sotterraneamente attraggono verso ogni lavoro artistico).

Già nella prima poesia “veni, veni…”, della sezione di apertura dal titolo “Diario del primo inverno”, (una delle quattro che compongono il libro), il nostro Autore fa una dichiarazione di poetica dicendoci: “annuso nella sera dei non vedenti/ la schiuma delle nuvole che sfiora i muri / sento che penetra nelle ossa della casa / colore di una voce che vuole abbracciare / voce di farina che si fa pane / e così mi addormento / perché, ora si ferma davanti alla mia mano / questa cosa che viene dal limitare? / la nomino senza parole ma non comprendo il suo non essere / la sua voce senza vocali / immagino che abbia bisogno di non essere per apparire / perché ciò che non appare è già qui”, (pagina 11).

All’interno di questa poesia, soprattutto nei versi finali, si assiste ad un disvelamento verso il quale il nostro autore ci conduce. Sta proprio nell’ineffabilità della “cosa” sul limitare (della coscienza, dello sguardo, dello stupore?), che sta la chiarezza. Questa è, anche, un’implicita indicazione di lettura, nel senso che ciò che la poesia può nominare, non sempre appare con immediatezza e si può intuire anche, se non soprattutto, per assenza. E, ad ogni modo, anche se non appare è già qui, tra noi, sulla pagina e poi dentro di noi, imperscrutabile ma presente e pulsante. Così anche il silenzio, il non detto, sospeso tra le parole di questi bei versi, assume parte e valore fondante di questa poesia.

Nella sezione “Anime di terra buona” si intersecano, poi, aspetti legati alla professione di Aglieco, ma sarebbe estremamente riduttivo fermare la nostra lettura ad una mera condizione autobiografica. Qui si raccontano relazioni, esperienze fondanti l’esistenza stessa ed, altresì, la reciprocità tra allievo e insegnate ma dicendoci, al contempo, quanto questi ruoli possano essere intercambiabili e trascesi. Qui, lo scambio di esperienze e di conoscenza ha sempre una doppia o plurima direzione, generando movimenti, sensazioni, esperienze, che coinvolgono discepolo e maestro e viceversa.

I ruoli sono pertanto fluidi, dipendono dall’attenzione, dall’ascolto, che ognuno degli attori immette in questa relazione. Questi bambini, queste classi, in modi differenti, hanno lasciato indelebili tracce nel nostro autore, nel suo processo di crescita intellettuale, emozionale e poetica. Oltre a ciò, in queste poesie cogliamo un aspetto “altro”, sotterraneo e supplementare, con cui Aglieco riesce sempre a descrivere ed introdurre una dimensione sotterranea rispetto a quella puramente narrativa: uno sguardo che si fa subito dialogo profondo dell’incontro. Davvero molto intensa (ed anche spiazzante) la poesia dal titolo “a un bambino difficile“:

ti tengo per mano per non farti scappare
perché tu scapperesti da questa follia della scuola
che ti costringe ad essere umano
e non vorresti, non vorresti uccidere in te
il gioco semplice della palla
il grido che ti esce dalla bocca e non è tuo
è di un dio senza parole che ci abita tutti
che ci tiene stretti qui
a questa terra che si fa mistero e attesa di un perdono

p. 39

 Toccante e significativo il ribaltamento dell’esperienza sia umana che pedagogica: questa è un’altra capacità di Aglieco, quella di fornirci attraverso il linguaggio poetico un punto di vista non consueto, spogliato delle convenzioni mediatiche, (anche autorevoli), che si insinuano spesso in noi, che divengono legge o norma, e alle quali per automatismo spesso ricorriamo come categoria esperienziale. Proprio per questo, sottolineo ancora, questa poesia, al di là della propria intrinseca bellezza, ha anche la capacità di farci osservare, in modo alternativo, l’incontro con chi vive e rappresenta quotidianamente il “disagio”, attraverso lenti cognitive differenti rispetto a quelle consuete.

Nell’esergo del capitolo “signora della nebbia” si narra, invece, di un incontro casuale, fugace, che è in realtà molto più che un incontro: “una mattina, all’improvviso, / mi hai attraversato la strada buia / e i tuoi occhi hanno brillato“.

 In questo caso è la figura della volpe a divenire guida svelante, catalizzatrice di emozioni, sensazioni, riflessioni. E’, altresì, portatrice di illuminazioni, come soltanto il nostro poeta sa cogliere e riportare, e che rappresenta, la volpe, il tramite fisico ed allegorico di un mondo altro, naturale e primigenio, che noi possiamo soltanto intravedere. Un mondo originario ed originante di ciò che sta alla sorgente della stessa scrittura poetica. L’animale esprime simbolicamente tale processo: apparizione fugace dopo cui nulla può essere più come prima. Ed è proprio qui, in questa intenzione poetica, che Aglieco fa sua la capacità di svelarci quello che è punto iniziale dello sguardo, Luogo per eccellenza, luce.

 Esistono poi altre istanze che divengono vertigini dialogiche e complementari della poesia di Aglieco, raffigurate da presenze naturali che animano e compongono l’affresco poetico e che si riflettono, tra di esse, in un continuo rimando all’interno di un incessante incontro tra parola e orizzonte allegorico. S’intuisce, allora, quanta importanza abbia questa erranza del poeta nello scenario naturale, che acquista valore fondante, sapienziale, come vero e proprio processo di esplorazione ed acquisizione interiore, ben al di là dei meri aspetti descrittivi.

 Il nostro autore mostra, altresì, in tutto il proprio dettato poetico un sottofondo nostalgico, un senso di perdita costante; ma proprio questa idea produce nel lettore un processo di acquisizione o per meglio dire di agnizione, che si traduce in crescita vitale. Non si ritorna, pertanto, da tale lettura senza un arricchimento del proprio bagaglio emotivo. Queste poesie ci invitano ed accompagnano in un percorso che è una sorta di pervasivo ed illuminante canto poetico, dolce ma abissale al contempo.

 Nella parte finale del volume, Aglieco porta il lettore al senso più profondo e misterioso della natura, suggerisce uno sguardo che rimane “puro” anche nel dolore e nell’ordine naturale delle cose, e che, probabilmente, per troppa “civiltà” abbiamo dimenticato, (quando, per molti di noi, sconosciuto).

 E ciò si esprime attraverso le molte e plurime valenze che il nostro autore fa assumere ai propri testi: panorami variabili, pieno di rimandi, di colori e sfumature soprattutto dell’anima. I profili collinari, le carraie, la nebbia, gli alberi nudi, sono metafore di una visione che racconta del nostro transitare, della fugacità dell’essere, di un pervasivo fondo di nostalgica contemplazione. Aglieco sa osservare, interiorizza il panorama, ne fa luce, parola, e lo restituisce alla pagina, alla nostra attenzione, traducendolo attraverso le sue notevoli capacità espressive e comunicative. Ogni verso ci svela ciò che sta oltre ed al di là delle cose, della parola stessa e della sua capacità di nominazione.

 In ogni poesia, nel filo conduttore del libro, e senza mai cadute, si avverte questa condizione, vera e propria presenza narrativo/contemplativa che non potrei altro che definire come battito poetico autentico, figlio di una vocazione profonda che, però, interagisce col mondo, incantandolo. Aglieco, infatti, prende spunto da ciò che lo circonda, e ben lo descrive, investendo ogni esperienza sensoriale, visiva oppure uditiva, con una cifra propria, specifica ed originale, quale è quella del suo linguaggio.

 Parola meditata, dunque, profonda e descrittiva ma ampiamente evocativa, capace di rendere complice il lettore, fino a trasportarlo in quella profonda esperienza nella quale, parafrasando i versi dell’autore, si disorienta la luce e in cui è, spesso, è richiamata l’ombra…

Inverno 2023

Marco Fregni

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