Marco Marangoni, Nel fitto del tempo

Marco Marangoni, SENTIMENTALISSIMA LUCE, puntoacapo 2021

Chi è il poeta? Che cos’è la poesia? Sono domande che non hanno risposta e che, probabilmente, non andrebbero neanche poste. Domande che sono, esse stesse, risposte: il poeta è il poeta e la poesia è la poesia.

Del resto si tratta di una sollecitazione cognitiva del tutto moderna in quanto per gli antichi era più appropriato porsi la questione del “cosa fa il poeta; qual è la funzione della poesia”.

Oggi nessuno sembra veramente interessato al problema proprio perché la poesia non ha più alcuna funzione e il poeta, da Hönderlin in poi, è lo sperduto “cercatore” di una casa che non gli appartiene da tempo.

Leggendo il bellissimo libro di Marco Marangoni, noi vediamo il poeta che pensa la poesia non in funzione della poesia ma del respiro del mondo che ci respira e dentro il quale respiriamo. E’ il luogo di una sentimentalissima luce (citazione leopardiana), fatta di contrasti e di ombre; non una luce riflessa, causata dalle pieghe dei vestiti e delle forme, ma una luce che abita e arriva e che quindi non ci appartiene. Non è nostra, non lo è mai stata, e noi l’abitiamo nel mistero della domanda senza risposta.

La dimensione fortemente interrogante del libro non attraversa le fredde stanze della conoscenza pura ma, anzi, si alimenta di una umanissima sconoscenza, spesso palpitante di mistero e commozione. E’ la dimensione dell’attesa e del balbettio che zampilla dall’attesa. Si potrebbe parlare di una poesia che attraversa le stanze della casa buia cogliendo, nell’attimo breve, le luci e le ombre delle cose addormentate, appena risvegliate al desiderio palpitante di senso.

Se, dunque, la poesia è la sua forma e ciò che dalla forma fugge senza nome, Marco Marangoni ci consegna una parola fatta di interruzioni e pause. Lo si capisce leggendo a voce alta – ma calma – nel silenzio di una stanza, magari al crepuscolo o al tramonto. Si coglie così il colore di una voce in preghiera, monologante e pensante, assorta nel desiderio di sapere, ma senza l’angoscia del non poter sapere.

Siamo, insomma, nei dintorni del colle leopardiano, del limes imposto; sguardo che da una finestra s’interroga.

Eppure il poeta è una persona che vive, non si chiude nel castello seduttivo della conoscenza filosofica. Conosce le strade, le città, respira l’aria di un’Europa forse in decadenza; scrive ai tavolini del caffè…

La lingua “è uno sfondo di silenzio / il vento / che accarezza i canneti, / le foglie”, p. 81.

Ci sono balconi “in riva al mare”, p. 80. Il poeta sente la presenza dell’altro come esperienza sconvolgente – scrivere è rivolgersi a un altro – .

La poesia è sempre in presenza, “in margine al significato / e di spalle al senso”, p. 74.

C’è un figlio a cui dirla. E’ “incanto del cuore”. Vive “nel fitto del tempo / del luogo”, eppure per essere detta ha bisogno di quiete, ha bisogno che una luce deflagri e non bruci.

Il libro di Marco Marangoni ci suggerisce che la poesia può essere sentita – e non compresa – solo negli spazi di un vivere palpitante che ci lascia attoniti e commossi, mai indifferenti. La poesia vive di questa commozione partecipe, finanche pericolosa, e quando avvertiamo nelle parole il rischio dell’estinzione, allora capiamo che esse sono sincere perché ci annunciano, senza censura, l’estinzione del corpo tutto, della voce.

*

Dietro le mie parole

è il silenzio

come la città intorno

e l’oceano buio

in cui navigo;

non c’è fondo mai

nello sguardo

ma è dove

sempre torno, sempre vado

p. 12

*

E’ presto al mattino, quando mi alzo

e mi siedo in cucina, di fronte alla finestra

(al primo caffé);

mi sento prossimo, a quell’ora,

e non so “a che”…

mi concentro

come in una spedizione

e vado nei luoghi germinali,

nei luoghi soli

della percezione

p. 18

*

Che cos’è – ti domandi – questa calma

del mattino d’estate?

Ferragosto (…) gioia di rondini,

di campane;

niente folle – niente autostrade,

ma l’umanità accanto e l’umano

di pensieri intimi, di fantasie

e contrade (…)

ti pare un altro versante

lo sguardo che rivolgi alle cose,

non più frantumi e polvere

ma “cose” o nuclei

di luce/buio, di quasi forze

p. 24

*

Thank you, Fog

Dirò anch’io: Grazie, nebbia,

non avvolto dalla campagna inglese,

ma sulla riva del mare

a Bibione, mentre fra qualche giorno

è dicembre.

Due metri di visibilità,

solo l’udito attivo, gli uccelli

che svolano intorno alle siepi, e fa freddo;

le bacche, le erbe pioniere

e la voce

di questo monastero fragile

(di quale paese?)

p. 33

*

Sono a questo tavolino di caffé (compagno di pensieri ed altre immagini)

e sono il biografo della luce, che oggi m’investe e investe

Lignano

(…) è aprile

e il sole già scotta, e vorrei togliermi le scarpe, germogliare

mentre l’aria scorre e il mare, che non è lontano,

si sente

come un respiro o un pendolo

a cui sembra sia stato legato un pennino per scrivere;

e di scrivere mi sento/per fermare la corsa dei pensieri e la corsa

del tempo

p. 61

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