Matteo Maria Orlando, MI FA MALE UNA DONNA IN TUTTO IL CORPO, La vita felice 2012
Appare, questo amore, nella forma esondante e paurosa di un’allegoria:
S’avanza
tra fango e nebulosa
col ritmo incalzante dell’onda.
Porta la luna all’orecchio
e i dischi di Saturno al dito.
Ha il tango nel fiato,
ghirlande le fasciano i polsi
e per le mani archi di salici piangenti.
Ferra i miei pensieri,
tutti li briglia.
Ignoro la sua natura
e il cosmo si flette
al suo passaggio.
p. 15
Esondante in quanto invasiva ed eccessiva; paurosa perché senza nome, senza, quindi, la possibilità della nominazione che ne attutisce il timore.
Il testo, quindi, rivela la sua ascendenza “biblica”: la dolce presenza della sponsa amorosa del Cantico con tutta la vibrazione degli attributi, e le colossali figure che incutono spavento, segni, appunto, dell’apparizione di qualcosa d’incommensurabile.
Ecco, dunque, l’Amore:
Spasmo il tuo nome,
milizie le tue labbra.
Il collo,
rimedio ai torti.
Porte imperiali gli occhi
– com’ebbe a rivelare Basilio d’Ancira. –
Sulla tua schiena
la sorte gioca i dadi.
p. 19
Qual è il compito del poeta/lupo, dunque, per pronunciare l’impronunciabile?: cercare “la parola/sola, che ti sia/specchio”, p. 21; specchio a Lei che si vela e si disvela, si adombra di Oriente, di enigmi e di profumi: “Sei l’oscuro manoscritto/l’enigma del primigenio/e vai, tra labirinti arroccati/oltre le porte di Mdina”, p. 25.
Il testo, dunque, nel suo dispiegarsi, appare nella forma di retablo medioevale, con la donna assisa al centro, inghirlandata, contornata di lodi e riverenze, ma essenzialmente irraggiungibile se non con le armi di un’antica trappola: la similitudine, sia per avvicinarsi alla natura di fainòmenon, sia alla maschera ricorrente della forma, l’archetipo che poi si declina nelle vaste apparenze culturali e antropologiche della foemina.
Il risultato è, appunto, la lode e lo sconvolgimento, mi fa male… stato che è, forse, evento dionisiaco dello smembramento tra psiché e physis – troppo alta, altissima appare questa madonna nella sua staticità dominante ma ambigua e sfuggevole: Diana cacciatrice, nascosta alla vista più che Venere splendente; se non addirittura Sophia la cui parola pneuma, è corpo che rivive.
Sebastiano Aglieco
Boon, luglio 2013
il collo rimedio ai torti …
interessante deduzione del poeta
così come è sempre interessante cogliere gli intrecci che riesci ad allacciare
alla tua strepitosa esperienza di lettore.
mi affascina questo “ente” innominabile, questa donna senza nome, metafora di un corpo, che suscita tanta inquietudine…
la ragione non sempre controlla i sensi e la loro estensione…
(in tal caso, sarebbe troppo arida la vita).
un saluto da un lago nebbioso e affascinante…:-)
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Cara Carla, come sempre grazie del passaggio e delle parole. Sebastiano
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