Nella primavera del 1995, Sensibili alle foglie pubblicava POESIE NELLA VALIGIA, versi di Bernardo Quaranta, corredati con fotografie dei manoscritti originali.
Chi era Bernardo Quaranta? Si tratta di uno di quei casi di estrema marginalità; il vissuto di un quotidiano di “periferia interiore”, procede di pari passo con un esigenza di espressione semplice, ma non per questo meno profonda.

“Le poesie di Bernardo Quaranta”, che hanno la forma di brevi haiku “seppur scritte su pezzi di cartone, appiattendo vecchie scatole di scarpe, oppure sul retro di buste imbrattate (…) conservano la limpidezza e la semplicità anche se, a differenza degli autori giapponesi, egli non contempla la natura ma la sua propria vita in relazione agli esseri umani e alle altre creature della terra. Non sappiamo perché “Bacci” sia diventato “barbone”, fatto sta che nella sua difficile condizione di vita, nel suo essere “fuori”, ha affinato una capacità di sdoppiamento della coscienza che lo porta ad essere presente con incanto ed anche ironia ad ogni aspetto, seppur tragico, della sua condizione umana”, (Nicola Valentino nell’introduzione).
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Le poesie di Bernardo Quaranta furono ritrovate dentro una grossa valigia che si portava sempre dietro, zeppa di fogliettini, ritagli di giornale e quant’altro.
“Bernardo era un uomo che viveva di carta. Carta per accendere falò per scaldarsi, carta per fissare impressioni ed idee, carta per coprirsi in inverno, carta sotto forma di pagine di vecchie antologie scolastiche per leggere e imparare…”.
I temi di questi testi sono tra i più svariati. Generalmente, i curatori segnalano un’assoluta mancanza di patetismo, ”di un piangersi addosso o di un nichilismo comuni a storie analoghe”.
Si tratta di “schegge di un’esistenza comune a tante altre, con delusioni d’amore, voglia di giocare, amicizie importanti, ricordi di guerra”, (Claudio Pozzani).
Il libro, copia unica che mi è stata donata da una delle poetesse segnalate al premio CORPI DI/VERSI, mi interessa come esempio di un’esperienza a margine della Poesia stessa; dei grandi corpi poetici che appaiono nelle vetrine buone: stampati, pubblicati, recensiti, divulgati attraverso letture pubbliche, segnalazioni, premi letterari. E’ la condizione dello scrivere a parte, discosti, che vorrei sottolineare, al di là dei meriti letterari. Cosa si vede dormendo su una panchina di una fredda città, di notte? Che cosa ci suggerisce la nostra musa? Che possibilità in più o in meno ha la parola deprivata persino del supporto sul quale imprimersi?
Insomma: questa valigia si fa metafora della nostra condizione di vagabondi, dentro al mondo ma un poco estranei al mondo: viaggiatori stanziali, sguardo che osserva senza essere osservati. Nella loro disarmante semplicità, queste poesie mi commuovono perché l’uomo che le ha scritte non si trova nella condizione di barare con le parole. E il suo sguardo è talmente innocente che le parole possono solo accarezzarlo.

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NATALE
Le strade sono piene
le luci sono ferme
La gente ha fretta.
Io sono fuori,
ho tanto tempo
e niente da comprare.
Sto fermo come le luci.
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LE STELLE E IL LAMPIONE
La luna sta sul mare stanotte
ed io sto sulla panchina
Lei ha tante stelle attorno
io soltanto un lampione.
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BRICIOLE
Briciole sulla tovaglia
intorno a un cerchio di vino.
Sembrano nuvole attorno al sole,
gabbiani sopra un’isola.
Mi alzo dal tavolo
e tutto sparisce.
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IO
Vi guardo camminare
ed io sto fermo
Vi vedo parlare
ed io sto zitto
Vi sento ridere
ma io non piango.
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VENTO FREDDO
Se il vento
avesse un colore
sarebbe blu.
Blu come le mie mani
che scrivono.
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NERVI
Il mare è infuriato,
gli ho detto di no.
Lui urla,
allunga le onde
per prendermi.
Io gli dico ancora di no.
La passeggiata è vuota.
Signori in cappotto che mi guardano.
Io gli dico di no.
…il mare mi sputa.
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FOGLIO DI CARTA
Foglio di carta da pane
ti darò fuoco
per farmi caldo
o mi riscalderò
col fuoco della poesia?
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CHI SONO
Mi chiamo Bacci,
Bernardo Quaranta,
il barbone,
il senza casa,
il mendicante,
il poeta.