Alessandro Catà, INEDITI

Il tema della scomparsa è prova tra le più ardite per un poeta, e non solo per un poeta, forse. Esige controllo, anche quando, per scelta, si accogliesse la cifra di un totale abbandono, di un doloroso autodafé.
Accadono due cose: una per chi scrive, l’altra per chi legge. Chi scrive sente la forza di un’essenzialità interiore rigorosa e stringente, avverte che la maschera delle rappresentazioni, formali e psicologiche, si è fragorosamente strappata. Lo stile, per usare una brutta parola, si fa “moi, a moi” (mio, me stesso), non dovuto più a nessuno se non alle urgenze della stessa materia, della sua dichiarazione in musica; come in una messa. Infine finisce per fare i conti con gli “ismi” e la cultura dentro cui si è formato.
Chi legge, invece, riceve l’impressione di una profezia, di un’appartenenza a un destino che prima o poi ci conoscerà tutti. E’ una di quelle situazioni in cui la poesia, ridotta al candore calcinato di materia anestetizzata, acquista la forza di un farmaco cicatrizzante o di un veleno senza redenzioni.
Questa scomparsa – qui l’ angelo che porge la parola si chiama Matilde – smuove e contorce i preziosi armamentari della Scienza, quelli che danno senso al mondo, lo analizzano, ne segnano i confini, i vuoti ancora da esplorare, le leggi intime. Sono le stesse muse che negli anni hanno accompagnato la poesia di Alessandro Catà, strumenti per misurare e per intuire il destino e che in questo libro hanno il nome di orologio, clessidra, diapason, calendario, almanacco. Allineati sul tavolo dello scienziato, ricevono una violenta spinta, cadono miseramente a terra.
Ora sono dotati di una particolare propensione a mostrare il risvolto della medaglia; attraverso la descrizione di uno sguardo che si mostra allo specchio, dichiarano la vacuità e la vanità del teatro del mondo. Sembrano salvarsi solamente i segni destinali delle costellazioni, la loro immutevole giustezza nel segnare il destino degli esseri tutti.
Ciò che si percepisce, leggendo queste poesie, è l’impotente polemica contro lo scandalo della morte, il tentativo di assalirla mostrando l’inconsistenza dei vestiti della festa, della luce mondana, del potere consolatorio del ricordo.
La poesia di Alessandro Catà è sempre dettato lucido e controllato di un oggetto che il poeta conosce bene e mai ammanta con i giochi del fine artista. In questo libro, in particolare, egli sente anche la necessità del racconto minimo, del diario come impronta, dello scatto fotografico istantaneo, quasi senza inquadratura. E’ l’altro aspetto del compianto, e cioè il racconto che si illude di trattenere, di bloccare il gesto violento, la carezza del ricordo negli anni. Tutto sembra squadernato: una data, un numero di telefono. La poesia non si mostra nel desiderio di apparire ma di essere. Sa di appartenere – e forse è l’unica consolazione – al misterioso progredire delle forme verso la loro definitiva resa:

*

Tempo assoluto

La mano tocca i fili della notte
e nella mente guizza un colore
elettrico.

Cresce un inganno, da qualche
parte. Immagini da nulla svaniscono
mentre ti appare in alto la maschera
del grande orologio cosmico.

E’ orribile, adesso. E’ tardi in ogni
punto della materia.

*

Alla finestra

L’albero oscilla senza vento
e bianca e nera con un frutto
nel becco
la gazza è volata via.

Sei alla finestra, stamattina.
Sei dentro la visione piena, adesso.
Una striscia di luce
bionda e stretta.

Un raggio di sole
che ha consumato milioni
di chilometri
per attraversare un vetro.

*

Nell’infinita pioggia

Più intensi dei colori veri
erano i rossi e i viola
del sogno.

Più addentro nascosto
il mostro attende
la lama della ragione.

Sia solo rugiada in cima rugiada
o sangue su una spina
istante in cui la mente si disfa
e il tempo scorre via dal corpo
sbiaditi indietro i fatti
e le interpretazioni.

Dirai che un panno copre
lo specchio che pioverà
per sempre dentro quell’orizzonte
di desolazione che il luogo
è quello e non ci sono piramidi
per attraversare la morte.

*

Casa di giada

Il veleno salì da una perfida
vena conficcata nella ferita
delle cose.
Raggiunse la mente devastata
i tuoi occhi
colorati dal male
che attraversò la stanza.

Allora io vidi la curva
imponente. L’ala profonda
e inquieta. L’angelo
perverso chiuso

nella casa di giada.

*

Alla fine del giorno

È tardi. Ormai ridotta a un punto
la forma di ciò che si allontana.
Parlami, dimmi cos’è quello
sguardo, perduto sul fondo,
rigato dalla pioggia,
mentre le luci si accendono
alla fine del giorno.

*

Luci d’inverno

La spinta di pollice e indice imprime
una rapida rotazione alla moneta.
Notte e giorno… intorno a poli
ghiacciati e immobili.
Testa e croce di seguito, fittamente
mischiate, fino a che il caso
non ne decreterà la sorte.

Sembrava eterna la stagione
e invece… Per una distrazione
mi sono fatto vecchio.
Alla radio parla una voce
che ha la sostanza della sera,
l’inverno di essere soli tra quelle
luci.

*

Ma perché piange?

Ma perché piange? Io la conosco,
disse una gentile bionda
signora mentre su una panchina
riemergevo dal gelo del mio pallore.

Ma la mia voce tornò indietro
non superò le labbra: «Piango per
la grande rappresentazione, perché
è crollato ogni palco della vita».

14 dicembre 2021

***

Alessandro Catà è autore dei libri di poesia: Blocco riassunto (Corpo 10, Milano 1991), L’ordine del respiro (La Vita Felice, Milano 2007),Continenti persi (Moretti e Vitali 2013); delle raccolte brevi Giant Steps (Officina di Poesia, Milano 2011), Estate (Officina di Poesia, Milano 2011), L’aria che tu chiamavi cielo (Quaderni de La Luna, Fermo 2012), Due continenti persi (Officina di Poesia, Milano 2013). Ha pubblicato la prosa Ascoli (Marte, Colonnella 2008), con foto di Mario Dondero, e l’antologia poetica La luce (Ila Palma, Palermo 2000), con scritti del filosofo Giorgio Baratta. Nel 1991 e nel 1994 ha curato, per le edizioni Trifalco di Roma, due antologie poetiche sui temi della Notte e del Viaggio. È autore di scritti e installazioni scientifiche riguardanti la natura e la misura della velocità della luce.

Gli inediti qui presentati sono anticipazioni del suo più recente lavoro, in fase di pubblicazione.

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