Via Maroncelli, 6 – Seregno
COMUNICATO STAMPA
Sabato 21 settembre 2019 alle ore 17.30
Presso la sede del Circolo culturale Seregn de la memoria
sarà presentato:
Achab
di Mauro Grimoldi
secondo libretto d’artista per il 2019 e settantunesimo della Collana Fiori di Torchio curata da Corrado Bagnoli, Piero Marelli e Alessandro Savelli.
Per l’occasione, un’incisione di Romano Meregalli numerata e firmata sarà inserita nella pubblicazione.
Mauro Grimoldi, nato nel 1958, è sposato con Pina ed è padre di Maria, Anna, Paola, Giovanni e Filippo. Tenta di insegnare italiano dal 1984. Da 25 anni a questa parte, lavora presso il Liceo “don Carlo Gnocchi” di Carate Brianza. Nel 2016 ha pubblicato il volume Preghiere e verdure, Aracne.
*
Dalla presentazione di Corrado Bagnoli
“Soffia!” Così, senza alcun preambolo, in modo quasi cinematografico, comincia questa narrazione in versi di Mauro Grimoldi, mettendoci da subito dentro una vicenda dal sapore epico, rendendoci protagonisti di un evento straordinario che accade in un piccolo rettangolo di terra attraversato da un fiume, dentro il quale fa la sua apparizione il bianco mostro che s’annuncia con un getto impetuoso di aria e di acqua. Sembra, dall’inizio, la ricostruzione di un innocente gioco di ragazzi d’altri tempi che, negli assolati pomeriggi d’estate, frequentavano liberi e incoscienti le rive del fiume, con un giovane capitano che cerca di assoldare la sua ciurma tra coloro che vogliono mettersi a sfidare la creatura venuta da chissà dove e a portare chissà cosa. Ma qui il gioco assume caratteri tremendamente seri, i luoghi prendono presto una fisionomia precisa, i personaggi dai nomi poco altisonanti ben presto si trasformano in inconsapevoli eroi: qui c’è in gioco quella lotta che abita dentro il cuore dell’uomo, prima ancora che le lande più o meno desolate di una Brianza più volte nominata che diventa la scena dentro cui la battaglia si svolge. Il capitano chiama a raccolta i suoi uomini, tanto quelli che hanno dentro le vene il sangue originario dei Longobardi, tanto quelli che invece vengono da ancora più lontano, dalle schiume di un mare che ha dato origine al popolo greco: insieme dovranno combattere per sconfiggere il mostro, a loro promette la vittoria e un’aria nuova di paradiso in terra. Ma, diversamente dall’Ulisse dantesco, che pure viene da lui citato, il capitano non racconta ai suoi uomini un destino di eroi e di sapienti; piuttosto sembra promettere un Eldorado dalle tinte un po’ fasulle, una piccola felicità da avanspettacolo. La vittoria sul male, come dice anche uno tra quelli che si getta nell’impresa, sarà un trofeo da mostrare nelle verande delle case sontuose che lungo tutta la riva del fiume verranno costruite. Forse, per sconfiggere davvero quel male che avanza sbuffando, quella balena bianca trapiantata dall’oceano al fiume brianzolo, occorrerà aspettare altri condottieri, non basterà Achab; ci vorranno forse nuovi Mosè capaci di portarci in una terra promessa dal cuore più grande che sappia accettare anche il niente, il male che soffia ma, nel suo orizzonte, sia in grado di vedere la presenza di un destino di bene. La poesia, qui, torna a raccontare una storia, tuffandosi dentro il grande fiume della tradizione della poesia narrante: accetta la sfida della vita quotidiana e non la chiude dentro lirismi soffocanti, ma la lascia correre verso il suo destino, verso la sua foce, verrebbe da dire. Lo fa in quel modo caratteristico che hanno le narrazioni epiche, tenendosi dentro registri dolorosi e drammatici o sarcastici e comici; convocando nei luoghi e nei cuori grandi o sbilenchi dei personaggi tutta la forza suggestiva di ciò che viene prima di loro; chiamando a testimoni, dentro l’apparente normalità quotidiana, figure di uomini e cose vissuti nel tempo o soltanto immaginati e resi vivi in altre narrazioni. La poesia torna a essere il luogo in cui reale e ideale insieme rendono possibile ripensare il mondo, riavvolgere la sua storia con la possibilità di rinvenirvi un inizio di comprensione: solo una traccia, mai definitiva, di una direzione, del senso della miracolosa conquista, o grazia, che può accadere nell’avventura quotidiana della vita.
*
“Soffia!”
gridò la vedetta, all’apice della torre.
“Soffia!”
Gli occhi di tutti si volsero
dov’è più leggero il carico d’acqua.
C’è cotenna vichinga a rivestire molti cuori di donna,
in questo misterioso miscuglio del settentrione
che si chiama Brianza,
da qui fin quasi al ponte dei leoni.
“Soffia!”
Il mostro chiunque lo pensa agile,
se l’ha visto nei riflessi cisposi
delle pupille paterne.
Nella piazza di Verano
l’intero paese s’agitò,
muto come una duna.
Da quanto non s’aveva notizia
del bianco animale?
Come se il Tigri l’abbia scortato
dentro abissi impensati
eccolo, ora, che riemerge
nel pieno d’una pianura salmastra:
davvero non lavorò invano
chi ebbe vocazione di scolta.
E noi gli tiravamo molliche di pane,
e bulloni.
Intanto sulla riva del Lambro, un Achab
ragazzino si prepara alla lotta
scagliando sassi sul pelo dell’acqua.
*
Nella stessa occasione sarà inaugurata la mostra
Come un orizzonte
di Romano Meregalli
Romano Meregalli, nato a Desio il 30 dicembre del 1932, nell’esercizio della sua professione di artigiano intagliatore ebanista, ha presto maturato una grande passione per il disegno che ha poi sviluppato e coltivato frequentando la Libera Accademia di Pittura di Nova Milanese sotto la guida del maestro Vittorio Viviani. In quegli anni nasce in lui un profondo interesse per la grafica e la scultura, ma anche per le diverse tecniche pittoriche e in particolar modo per quella dell’acquerello. Ha partecipato a diverse mostre collettive e personali, ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti in vari concorsi: su tutti ricordiamo qui il premio Giovanni Segantini nel 1978. Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.
Dal testo introduttivo del catalogo della mostra a cura di Corrado Bagnoli
Ci sono grandi fiumi che si muovono ampi e lenti verso il mare; ci sono fiumi impetuosi che sembrano scrivere con rabbia il loro passaggio nella terra; ci sono fiumi il cui odore, il cui rumore tramortisce chi si avvicina al loro greto; ci sono fiumi invece silenziosi, di una maestosità intensa come i colori degli alberi, del prato, del cielo che si accendono intorno a loro. Quelli che abitano in questo ciclo di acquerelli di Romano Meregalli – fiumi reali, certo, che ora però sembrano quasi immemori del loro nome, pronti ad assumerne ogni volta uno nuovo – appaiono quasi fermi, docili allo sguardo, mansueti, inteneriti da ciò che li circonda, quasi a fondersi nel paesaggio che tratteggiano, appunto, come un orizzonte. Il moto, il cammino di avvicinamento da cui nascono questi paesaggi viene come fermato, sospeso in un’ora indefinita e quasi incerta, steso con trasparenze che lasciano affiorare sentori di carte nobili e meno nobili su cui l’artista ha voluto che si formassero, secondo una grammatica equilibrata e fragile, più che i dettagli di un luogo, le suggestioni di una visione complessiva e il tessuto quasi musicale in cui essa consiste. Sono piccoli miracoli sorpresi in un istante irripetibile la striscia d’acqua che taglia in due lo spazio del quadro, la nuvola arancione che abita in un cielo quieto, l’incurvarsi della terra a formare dune che forse assomigliano alle linee di un fianco, di un corpo steso. Ma tutto è davvero come sembra? Davvero questo mondo è pacificato, immune dal dramma, sottratto alle fatiche umane dell’abitare? Si tratta davvero di un idillio, questo di Meregalli, con una natura sognante ed accogliente? Il blu del cielo e l’ocra della terra, la riga incerta del fiume tra di loro disegnano davvero un mondo rassicurante e quieto? Nella luce di questi acquerelli, mai violenta, mai cupa, è come se si insinuasse una minaccia, talvolta forse una profezia: questo attimo è già lontano, non torna; lo stupore per quanto miracolosamente accade si accompagna a una chiara malinconia, alla consapevolezza intima dell’eterno andare via di noi e delle cose. Nell’opera di Meregalli, in questa luce mai orgogliosa e dominante, affiora già la nostalgia di un luogo che possa restare in quella gloria quotidiana e umile che accade lì, tra la terra e il fiume, sotto lo sguardo del cielo; affiora la nostalgia di un luogo, di un paese come un orizzonte in cui ognuno di noi possa abitare e splendere silenziosamente così, davvero e sempre.
*
La mostra resterà aperta dal 21 settembre al 5 ottobre 2019
presso la sede di Seregn de la Memoria e si potrà visitare
con i seguenti orari: Martedì – Giovedì – Sabato dalle ore 10.00 alle ore 1200
Mercoledì dalle ore 15.00 alle ore 17.00
Giovedì- Venerdì dalle ore 16.00 alle ore 18.30
SCARICA L’INVITO