Paolo Fabrizio Iacuzzi: verso una rosa…rosa

Paolo Fabrizio Iacuzzi, FOLLA DELLE VENE, corsiero editore 2018

La pittura medioevale si pone, in certi contesti, in funzione di testimonianza visiva, prontuario iconico comune.
Il temp(i)o è un luogo sociale che assolve a vari compiti: piazza, ospedale, casa e bivacco, premonizione del paradiso. Ma anche luogo dell’esposizione e del giudizio, del privato che si fa rendiconto, bilancia, tribunale.
Paolo Fabrizio Iacuzzi prosegue in questo recentissimo libro l’idea che biografia e statuto coincidano; che il gesto privato sia, in qualche modo, innestato in quello pubblico e che la responsabilità del singolo sia l’oggetto di una causa, di una rendicontazione. Si ha sempre l’impressione che, scrivendo di sé, egli chiami in causa l’altro, una legge privata e una comune, un dio senza nome, un impulso.
Nello stesso tempo egli sembra sentire la nostalgia di un ordine, di un desiderio di pulizia, di una nuova casa restaurata dove abitare, consegnando a un tempo a venire memorie e affetti, cause ed effetti.
Un’icona da utilizzare in veste di suggestione pittorica per questo libro, è il quadro della città ideale conservato a Urbino. La struttura quadrata della piazza, con al centro l’edificio rotondo, è simbologia concreta di un ordine, una forma dell’architettura della città ideale sulla terra; così come la rosa è garante dell’unità del libro, espressione di una casa da raggiungere − ora che l’amore è questa rosa pulita −…
Rosa come casa, dunque, piazza che diventa casa, io che diventa noi, biografia che diventa Storia − io progetterò la casa per stare tutti insieme − …
In questo libro un rosa multiforme si aggiunge alla complessa tavolozza di Iacuzzi, ad indicarci il percorso interpretativo di un retablo affastellato di presenze e di oggetti in cui la reiterazione delle immagini, sviluppata in varianti, è espressione della molteplicità del vivere e delle infinite sfaccettature emotive della nostra psicologia.
Rosa: il nuovo colore da scegliere per i muri della casa, la maglia di Pantani, la folla rosa delle sculture di Antonio Crivelli, le “Lotofagie” di Luca Caccioni, il nulla che fa rosa l’essere, la nuvola rosa che si sprigiona dalla tela nera dello stereo, le scarpette rosa della danza, il triangolo rosa delle deportazioni.
C’è poi un rosa slavato che si confonde tra le povere pezze del vestito di Arlecchino, a dirci, appunto, come il nostro rosa non viva mai nello splendore di un magnifico isolamento, ma tra la folla, la storia degli altri, nell’infinito tempo che abitiamo, tra passato presente e futuro.
La nostra storia è un tassello della Storia tutta, testimonianza persino dei luoghi che abitiamo; così la casa/rosa costituisce il luogo della riunificazione degli affetti e della memoria; come in una scena di un film di Kurosawa, “Rapsodia d’agosto”: lo sguardo del bambino si ferma a guardare una processione di formiche, mentre nello sfondo gli anziani stanno recitando un mantra, inginocchiati presso una cappelletta di campagna. Il cugino americano, in visita alla vecchia zia in occasione della ricorrenza del lancio della bomba atomica su Nagasaki, ha appena chiesto il significato di quel mantra e gli è stato risposto che cosa vuol dire: “in paradiso saremo di nuovo tutti uniti”. Parole che ne ricordano altre di Milo De Angelis, “a memoria ci saremo tutti”. Ma anche quelle di Franco Battiato in una sua opera, in cui a un certo punto è possibile udire l’elenco di tutti i musicisti in rigoroso ordine alfabetico; come sistemati in un museo di presenze; oppure un appello, un richiamo finale. Gli sguardi dei due cugini infine s’incontrano, mentre le formiche raggiungono lo stelo di una rosa, e poi entrano e si perdono nel grande calice di petali. Ridono, complici, ma non pronunciano una sola parola.
Ecco: il desiderio della casa nell’opera di Iacuzzi, è un desiderio di unità e di riappacificazione con le ragioni della propria storia, dei propri debiti. Ne consegue un tono conciliante, un colloquio incessante, una richiesta di accoglienza, di compensazione. La variazione, genere assai poco frequentato in poesia mentre è comune nella cosiddetta musica classica, tale da costituire la ragione profonda della forma sonata, si presenta nell’opera di Iacuzzi come un’architettura di senso, una declinazione, nel senso letterale del termine: rosa, rosae, rosae…Molte rose formano un rosaio, un viaggio verso la rosa centrale, un’architettura di parole protese al raggiungimento di un senso; una folla di presenze nel nostro sangue: folla delle vene. E quindi archetipi, amicizie, memorie, presenze, ferite da impatto, corrispondenze segrete o più o meno dichiarate, l’amore sensuale e l’amore filiale, ricerca tra le pieghe dei manufatti biografici e della Storia tutta.
Ci troviamo di fronte a un viaggio salvifico a tappe, nel mezzo del cammin…
Forse, allora, Iacuzzi, tra le pagine di quest’opera, ci dice di aver raggiunto il suo purgatorio, in cammino verso quella rosa, quella casa in cui tutti desideriamo infine abitare.

Sebastiano Aglieco

*

Didascalia
IL MUSEO CHE DI ME AFFIORA

E’ ancora lui il fratello a ispirarsi alla folla.
Arlecchini in abiti consunti. Lavati di grazia e di dolore
nelle vene di città il circo con le bici sospese tra
Comune e Campanile. Il senso di paura nel coraggio

sospeso in aria. Tute rosa guanti arancio coni rossi
innalzarsi e sfigurare il tempo. Per mito del teatro
di tenda scesi dall’alto da pulpiti e arredi. I palpiti
della folla. Le vene della città che sale e che scende.

Piazze fino al cardiopalma. E sulla Sala i mangia-
fuoco e i ballerini scesi dai banchi per suono di banda.
Gli uccelli in fiera nell’Arcadia Viale Malta. Parata

tra i santi e i morti nella notte. Si accende il primo
falò delle castagne. L’incenso mescolato al tanfo
delle bestie. La tenda a strisce senza rete ai trapezi.

p. 13

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