Pentèlite, anno 3, numero 2

Sul numero 3 di Pentèlite, Scritture letterarie e divagazioni artistiche, un mio articolo su due capolavori della poesia siciliana del Novecento: Ancestrale di Goliarda Sapienza, La Vita Felilce, e Codice Siciliano, di Stefano D’Arrigo, Mesogea. Ringrazio per l’ospitalità i redattori e in particolare Massimiliano Magnano.

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INDICE:

Una Nave, Un naufragio, Una scatola e tanti libri, Viatico per Umberto Eco, di Salvo Sequenzia

Saggistica

Fuoco e Fiamme, La voce di Dio e le voci degli Dei, di Chicca Morone

Due Capolavori della Poesia Siciliana del Novecento, di Sebastiano Aglieco

Il “Corsaro” e le Lucciole, Tra mito, teatro e cinema. Pasolini e Siracusa, di Salvo Sequenzia

“Non parole. Un gesto. Non scriverò più”, L’addio come anticipazione, destino e profezia autoavverante ne “Il mestiere di vivere e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, di Cesare Pavese, di Simonetta Longo

Recensioni

Le serenate del Ciclone, Il nuovo capolavoro di Romana Petri, di Salvo Zappulla

Intervista a Romana Petri, di Salvo Zappulla

Presentazione di L’ala del tempo, di Carlo Muscetta

Una tradizione enormemente innovativa, di Salvatore Silvano Nigro

Sulle poesie di Sebastiano Burgaretta, in L’ala del tempo, di Nino Recupero

Poesie inedite

Ortigia, di Massimiliano Magnano

Il Ponte del Diavolo, di Olga Fotino Canino 

Pentèlit’Arte

Il crepuscolo della memoria, Brevi note ad un capriccio architettonico di Pelagio Pelagi, di Luca Violo

Tanto Culturale senza Cultura, di Serena Guardabassi

Edward Hopper, Titano silenzioso, di Luca Violo

Jeff Koons –  David Lachapelle, L’orrore del benessere, di Luca Violo

Immagine per immagine

Matera e il senso delle cose

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Goliarda Sapienza, ANCESTRALE, La Vita Felice, Milano, 2013

Goliarda Sapienza è conosciuta più come narratrice che come poetessa. In effetti questa raccolta “esiste inedita dagli anni Cinquanta”, come ci informa Angela Pellegrino nell’introduzione, “Goliarda avrebbe potuto a quel tempo farsi una plaquette e farla circolare tra amici e conoscenti, come spesso accade ai poeti, invece lasciò perdere”.
Poesie inedite per volere della stessa autrice, dunque, e la causa di questa decisione a non pubblicare sarebbe da individuare in una censura da parte dell’entourage politico di sinistra che considerava la poesia come un genere privato, di nessuna rilevanza sociale.
“Proust si legge e poi si chiude nel cassetto”, affermava il regista Citto Maselli dopo che Goliarda Sapienza gli aveva confessato di aver letto La Recerche; ecco allora che la censura si trasforma in pudore, e il pudore in “vergogna” dell’autobiografismo – inteso come pruderie di stampo borghese – : “Non avrei mai creduto che la figlia di Maria Giudice potesse scrivere poesie come una qualsiasi figlia di famiglia borghese”; (ancora Citto Maselli citato nell’introduzione).
Qual è, dunque, il vero motivo della reazione di questa classe intellettuale che fa intimamente persuadere Goliarda Sapienza a non pubblicare le sue poesie? Probabilmente la minaccia psicologica di essere esclusa da quell’ambiente culturale a cui apparteneva per condizione sociale e famigliare. Del resto l’atteggiamento dell’ambiente degli intellettuali della sinistra italiana era ancora quello di stampo sovietico: e cioè far coincidere il genere lirico con l’intimismo; il soggettivo contrapposto all’oggettivo, alla voce plurale, al coro, all’idea di un’arte a servizio dell’utile.
E’ questa una presa di posizione che ha influenzato le barricate tra le cosiddette neoavanguardie di sinistra – gruppo 63 – e quelle neoorfiche successive i cui esiti, in quegli anni di opposizione, venivano fatti coincidere sommariamente con l’antipopolare, col soggettivismo spinto, accusando i poeti esponenti di questa seconda tendenza di professare un deragliamento di tutti i significati. Ma quanta ipocrisia in questo ragionamento visto che esiti vistosamente “ermetici” hanno riguardato sia l’uno che l’altro fronte!
Leggendo “Ancestrale”, si capisce come l’accusa non avrebbe potuto riguardare i danni di un deragliamento semantico; piuttosto il libro si costituisce fuori dalle poetiche di quegli anni e stilisticamente non sembra influenzato da considerazioni di scuola.
Se dunque la causa di questa censura riguardava la frequentazione di un genere considerato addirittura pericoloso, rimane da chiedersi come mai il mondo culturale di allora, e fino ai nostri anni, abbia baipassato prove di poesia portatrici di valori francamente popolari, con forti inflessioni etiche e moralistiche, a partire da Piero Jhaier, e abbia invece accolto istanze di sovversione della lingua, queste sì, antipopolari e elitarie! E’ un tema tutto da indagare, a partire, certamente, dai manifesti di quegli anni e dall’illusione che un sovvertimento delle strutture sintattiche di una lingua considerata retro e borghese, potesse contribuire a un sovvertimento delle strutture sociali.
Il momento cruciale, a mio avviso, della negazione del valore di comunicabilità della lingua, è la reazione agli esiti più apertamente disponibili del secondo Quasimodo ed è sintomatico che un poeta/intellettuale radicale come Edoardo Sanguineti, abbia drasticamente circoscritto la poesia di Quasimodo solo gli esiti delle traduzioni dai lirici greci, negando così al poeta premio Nobel, dignità, sia nel suo alveo ermetico, sia nel ruolo di intellettuale finalmente engagè.
Se “Ancestrale” fosse stato pubblicato in quegli anni, immagino che sarebbe stato sottoposto alla stessa censura e allo stesso giudizio. La poesia di Goliarda Sapienza, in effetti, raggiunge esiti di grande limpidezza formale, di grande comunicabilità. E’ una poesia classicamente costruita entro forme sostanzialmente piane. Si tratta, in generale, di testi brevi o brevissimi − con esclusione di alcuni lunghi componimenti − che hanno la loro ragion d’essere in un contrasto fortissimo tra le ragioni di un’elegia domestica e un “fuori” vissuto come incursione, rottura, fibrillazione.

Non potrai più uscire.
L’ora è passata. La notte
ha chiuso i cancelli.
C’era il sole hai esitato.
Ora nel buio devi restare.

p. 35

Si possono riconoscere modelli forti in questa poesia: Saba, Ungaretti, Bertolucci, quest’ultimo espressamente citato, ma anche esempi di poesia al femminile di forte impatto caravaggesco: Gaspara Stampa, Emily Dickinson… – L’opera di Nadia Campana si potrebbe leggere, addirittura, come epigono di “Ancestrale” – e cioè poeti in cui l’assoggettazione alle dinamiche sociali genera un’accellerazione dei risvolti espressivi in funzione chiaroscurale, di dramma.

All’alba mi sono ritrovata
col tuo viso di ieri fra le mani
decapitato
dal sole sanguinante

p. 112

L’asciuttezza e la brevità sono dunque conseguenze di una inquadratura preparata a tavolino in cui una corretta illuminazione valorizzi le potenzialità e soprattutto il senso di verità dell’immagine. Si veda, come esempio, questa natura morta.

Un giorno dubitai
e in piena luce
cominciai
a vedere l’albero
il pane
il coltello e la forbice
il legno
il rame.

p. 33

Per oggetto intendo pure la sostanza dei moti dell’animo, gli umori, quasi tutti confinati entro i confini di un territorio privato dove il chiaroscuro è oggettivamente causato dalle ombre delle tendine alla finestra, da una ce(n)sura che separa drammaticamente il dentro dal fuori, il rigore della Legge degli uomini dallo sconfinamento del sentire – questo, sì, antico come la storia del mondo, luogo in cui l’animo femminile può tessere il suo lungo telo funereo senza terminarlo mai –.

Cosa aspetti sull’uscio
della mia casa? E’ l’alba
sono sola
e ho paura
Cosa cerchi nel vuoto
delle mie stanze?
Sono sola
e gli specchi ho rivoltato.

p. 49

Pensiero e sentimento sembrano costituire un’unica materia e questo credo sia tratto distintivo delle origini, perché la tragicità isolana è fatta di pensiero emotivo che non scinde passione e intelletto. In genere il clima è segnato da una spaccatura drammatica spesso impronunciabile; la luna è onnipresente, ed è un elemento, questo, che può aiutare a delineare il clima di conflitto tra elementi contrapposti; per esempio quello femminile e quello maschile, il religioso e il mondano, la conservazione e la dispersione. E’ anche una ricorrenza di tanta letteratura del novecento questa luna, “D’alghe arse, di fossili marini / le spiagge ove corrono in amore / cavalli di luna e di vulcani” (Quasimodo) …ma un repertorio assai vasto di paesaggi simili è ipotizzabile a partire da certo surrealismo spagnolo, per esempio Garcia Lorca, richiamato in un testo come questo:

NOTTE SICILIANA

La luna mente
la lingua fra le labbra
Sanguina
Sul silenzio convulso degli uccelli
Dietro c’è un sole

p. 127

Goliarda Sapienza, quindi, sembra attingere a un clima letterario marcato da immagini piuttosto che da pensieri e astrazioni, ma con una coloritura tutta sua, più scontrosa e drammatica, sapientemente costruita per delineare un teatro di turbamento psicologico.

Mi volsi e nella notte
vidi la luna
fissarmi con la testa arrovesciata
Da lei seppi che i morti
hanno sete
nelle notti affocate quando il cielo
è basso e suda cenere e scorpioni

p. 75

…o forse anche di “estasi” creativa.

Non scherzare di notte fuori dall’uscio
il vento di scirocco porta profumo
di zagara e di mosto, fa cadere
le ragazze ferendole alle cosce.
E il sentore di mosto spiaccicato
sulle carni richiama cento cani
Cento cani ti mordono se cadi
e una cagna sarai solo additata.

p. 78

Queste dicotomie esplodono finalmente nel testo più fortemente in rilievo di tutto il libro, “A Nica, morta nel bombardamento di Catania dell’aprile 1942”, descrizione di una scena di distruzione, in cui chiarissimi sono i riferimenti al Quasimodo, dei “morti abbandonati nelle piazze / sull’erba dura di ghiaccio…”, all’Ungaretti soldato:

E non ci furono più giorni né notti
solo un liso sudario, sbigottire
della luce schiacciata contro i muri
rari muri come denti cariati
fra le labbra convulse della terra.
(…)

p. 65

La voce, insomma, è uscita dalle stanze della casa, ha spalancato porte e finestre e si è precipitata in mezzo alle strade, gonfiandosi di rabbia e di indignazione. Sta di fatto che denuncia e pietà perfettamente si congiungono restituendo alla parola poetica quel senso di conforto nella tragica bellezza di ogni Guernica.
Probabilmente il testo è da accostare a quelli dedicati al padre e alla madre, poemetti tra i più corposi del libro, accomunati da risultati di altissima poesia. Se il poemetto alla madre è una lunga epigrafe funerea, quello dedicato al padre è la glorificazione, musicalissima e materica, persino olfattiva, dei luoghi, dei ricordi. Sopratutto di un’etica trasmessa dal genitore, di un modo di vivere e di leggere la realtà:

M’insegnasti un amore senza dio
un amore difficile terreno
per le donne e i carusi del quartiere
nero grumo di lava sotto il sole.

(…)

M’insegnasti a discernere l’afrore
della fame rappreso nei capelli
dell’amica di banco a non temere
il nitore sprezzante del suo basso.

(…)

Mi portasti per strade per vanedde
a fatica tagliate nella lava
fra l’insonne delirio di carretti
e banchi e palchi issati per l’agonia
di anguille laminate boccheggianti
fra i garofani accesi dalle grida
di coltelli in scommesse balenanti
nel verde insanguinato dei meloni.

p.157

Il libro contiene un’ultima sezione di poesia in dialetto, “Siciliane”, pubblicata a parte nel 2012 da Il Girasole Edizioni. Sono poesie che non contengono una traduzione in italiano. In questa scelta, il testo si pone, quindi, come bastante a se stesso, nella completa autonomia della sua urgenza. Lo splendore formale richiama i modelli classici del siciliano, per esempio Giovanni Meli, e non perché questa poesia faccia riferimento a un’arcadia, a uno stemperamento delle asperità, ma perché l’intento, mi sembra, sia quello di dichiarare l’assolutezza della lingua, non traducibile ma comprensibilissima. Goliarda Sapienza si affida a una pronuncia diretta, a un dire teatrale, monologante, come di una voce lasciata sola, nello sfondo metafisico di un teatro di lava e di cielo.

Curri ca lu sangu
staiu pirdennu.
Mi mori
l’unicu figghiu
pria di nasciri.
Curri ca lu latti
s’è quagghiatu
nni lu pettu.
Sugnu o scuru.

p. 170

2 commenti

  1. Sono il curatore del volume Ancestrale di Goliarda Sapienza. Ho molto apprezzato la sua lettura molto densa e acuta.
    Desidero soltanto segnalare che Maselli non c’entra con le citazioni riportate. La prima è di Giancarlo Pajetta, la seconda di Mario Alicata, come da me bene espresso nella prefazione.
    Un caro saluto e ancora un sincero complimento,

    Angelo Pellegrino

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