Mariarita Stefanini, DESERTO E SIAMO VIVI, La Vita Felice 2009
Si apre in un piazzale di sosta dell’autostrada questo libro, dove qualcuno viene guardato dormire, la notte, in un punto del suo viaggio. Questo qualcuno siamo noi tutti, che vediamo e non capiamo, perché la vita è estranea, abita i nostri corpi senza aver chiesto un consenso. Allora occorre un poeta, uno che riassuma nelle sue parole lo sguardo di tutti: “Vedi il loro tempo e nessuno sa/tranne te e il silenzio e le luci”, p. 9.
In questo sguardo che entra e esce dal mondo, dal sonno e dalla veglia dell’incoscienza, si situano le altre scene. La cartina di tornasole è il dolore e la coscienza del dolore, “quando sanguinare/ sembrerà il più alto desiderio umano”, p. 11. Ma non da soli, però; nella preghiera a qualcuno, piuttosto; nell’invocazione scarna.
“Anima mia,/non pretendere tutto questo./(…) lascia che trovi, aiutalo/a trovare”, p. 13.
Non è necessario approfondire. Ogni cosa, all’inizio, è già al lavoro per morire, per costruire un minimo senso: “Il tempo non è tempo. Questo/potrebbe essere l’eterno./Prendo una bottiglia d’acqua/perché hai sete./E’ semplice”, p.16.
La vita è già lì, è già fiorita, non dà tempo nemmeno per il compimento, in marcia di già, verso il suo disfacimento: “e dopo alcuni passi leggeri/mi atterra urgente e tragica/la vita”, p. 58.
Così la prima sequenza del libro è strutturata secondo un urgente desiderio di finire: “Tra poco cosa sarà il tuo essere te/il non essere che anima”, p. 38.
Poi, ancora, in un luogo di passaggio dove sfrecciano le macchine, scaraventate velocemente verso la loro fine, un oltre, nell’evanescenza dei fantasmi creati dal sole nel deserto. Quando “Il nostro tempo è finito (…) ci è data una vita soltanto e l’amaro del gioco (…)Il nostro tempo è un pedaggio al dolore. Al silenzio”, p. 38. Senza calcolo, previsione. Per inutile fatica.
Così, ogni tanto, la voce si aggrappa, chiede un sostegno, una consolazione, un colloquio con anima, con l’amato: “Portami lontano/se questo non è il mio vestito”, p. 45. La vita non rinuncia ad essere, a sognare la creazione delle sue forme incessanti. L’essere rimane lì, nel mistero della sua origine; pone domande senza risposta, contro le stelle. “Deserto, deserto e siamo vivi./Nulla scandisce il tempo/il battito è perfetto/come non ci fosse una fine./Deserto, deserto e siamo vivi”, p. 43.
Questo deserto è il mondo, palestra della parola e delle infinite forze che ci stringono alla gola, nell’apparenza della stasi, mentre invece tutto è in movimento, rovinoso, stelle contro stelle: “Corrono i venti, la notte a volte/(…) tu (…)non guardi la scia/del cosmo, la percorri”, p. 54.
Il nostro destino è capire rapidamente in questa forsennata corsa contro il tempo, contro la barriera dell’origine: non ci siamo ancora riusciti.
Sebastiano Aglieco
Libro di un lirismo intenso che mi ha colpito davvero. Versi ben calibrati e diretti, senz fronzoli e tecnicismi inutili. Trovo che in questa raccolta Mariarita Stefanini abbia raggiunto la piena maturità (termine che non mi piace molto riferito alla poesia ma serve per intenderci). Complimenti all’autrice e a Sebastiano Aglieco sempre puntuale.
Un caro saluto
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grazie del commento, Luca. Bel libro, effettivamente.
Sebastiano
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